Si è parlato molto, nell'ultimo periodo, del Muro dei Droni. Fino a quando non scopriremo in cosa consiste, il fatto che se ne sia già parlato molto ci dice qualcosa: è un esempio classico di comunicazione strategica, che è riuscita a impacchettare un concetto multistratificato, molto complesso dal punto di vista tecnologico, in una sintagma che evoca il familiare – un muro.
In primo luogo, qual è lo scopo di questo muro? Come nel caso di altri muri, quello di impedire il passaggio. Nel caso specifico, il passaggio dei droni provenienti da est, attribuiti o meno alla Federazione Russa (l'attribuzione è un argomento a sé che analizzeremo un'altra volta). L'idea è semplice: costruire un insieme tecnologico che copra tutto il Fianco Orientale dell'Unione Europea, dalla Finlandia, attraverso la Polonia, fino alla Romania e alla Bulgaria. Un sistema che permetta l'identificazione precoce e la neutralizzazione dei droni entrati illegalmente nello spazio aereo dei paesi membri dell'Unione Europea. L'idea di un tale sistema di difesa contro i droni è emersa come risposta alla proliferazione di modelli economici nella guerra in Ucraina e ha preso piede dopo le incursioni dell'anno 2025, che hanno raggiunto un picco a settembre 2025.
Concretamente, nel 2025 la Commissione Europea ha proposto un'iniziativa inizialmente chiamata "Drone Wall" (da cui il nome Muro dei Droni), che recentemente è evoluta nell'European Drone Defence Initiative, parte della recentemente adottata roadmap per la difesa per il potenziamento delle capacità europee di difesa 2030 (Defence Readiness Roadmap). Kaja Kallas, Alto Rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha dichiarato a metà ottobre che il muro sarà pienamente operativo nel 2027.
Sul campo, questo muro assumerà la forma di una rete paneuropea di difesa antidroni, inizialmente localizzata sul fianco orientale, ma con piani di espansione su tutto il territorio dell'Unione Europea. Il muro si inquadrerà in un programma più ampio di sicurezza delle frontiere europee, che includerà l'Eastern Flank Watch per la sicurezza delle frontiere marittime, aeree e terrestri, così come il European Air Shield, corrispondente al Muro dei Droni per altitudini e velocità maggiori, nel caso di missili e aerei da caccia. Il terzo livello è il European Space Shield, destinato alla protezione delle capacità spaziali europee.
Alla base, il sistema è concepito in quattro strati tecnologici:
Lo strato di rilevamento precoce, composto da reti radar (inclusi quelli passivi), sensori acustici, termici e ottici, capaci di identificare oggetti piccoli, con firma radar ridotta. Questi trasmettono dati in tempo reale ai centri di comando regionali.
Lo strato di classificazione e analisi, basato su intelligenza artificiale e algoritmi di riconoscimento dei modelli di volo.
Lo strato di contromisure, che include sistemi di disturbo elettromagnetico, inibizione dei segnali GPS e di controllo radio, ma anche intercettori dedicati (come droni antidroni, munizioni guidate o proiettili a rete).
Lo strato di coordinamento e comunicazione, che assicura l'interoperabilità tra gli stati membri e l'integrazione con l'infrastruttura NATO, soprattutto nell'ambito del sistema integrato di difesa aerea e antimissile (NATINAMDS), praticamente l'aggregatore di software di comando e controllo degli stati membri NATO.
Dal punto di vista geopolitico, è un segnale. Fin dalla prima Commissione von der Leyen, nel 2019, l'Unione Europea ha espresso la sua ambizione di diventare un attore globale della sicurezza. La base giuridica di questa ambizione esiste però da tempo: l'articolo 42(7) del Trattato dell'Unione Europea consacra la clausola di difesa mutua, mentre l'articolo 222 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea stabilisce la clausola di solidarietà. Tuttavia, a differenza dell'Articolo 5 del Trattato Atlantico del Nord, che impegna una reazione militare collettiva automatica, la clausola europea rimane una di cooperazione volontaria tra gli stati membri. In pratica, la sicurezza del continente ha continuato a essere gestita attraverso la NATO, nonostante la sovrapposizione quasi perfetta tra le due organizzazioni, solo Austria e Cipro non essendo membri dell'Alleanza. Pertanto, il Muro dei Droni è sia un insieme tecnologico destinato a consentire l'identificazione precoce e la neutralizzazione dei droni, sia un segnale geopolitico volto a posizionare l'UE come un'entità politica con la propria impronta di sicurezza, pressata da una Federazione Russa revisionista a est e da un'America assorbita dai propri problemi a ovest.
Non dimentichiamo che la prima Strategia di Sicurezza dell'Unione Europea, pubblicata nel 2003, iniziava con la sintagma "L'Europa non è mai stata così prospera, sicura e libera". La successiva strategia, pubblicata a giugno 2016, dichiarava che "lo scopo, anzi l'esistenza stessa dell'Unione, è messa in discussione". Oggi, dopo 15 anni di crisi (euro, migrazione, COVID, guerra), le minacce esistenziali si sono trasformate in sfide quotidiane: il contrasto ai droni.
Il progetto solleva, ovviamente, anche sfide – molte delle quali familiari e che hanno abbattuto altri progetti europei di grande portata. Il Muro dei Droni dipende dalla capacità degli stati membri di parlare la stessa lingua tecnologica e operativa, in un campo in cui le differenze di standard, di budget e di ritmo industriale rimangono profonde. Tutti questi sono argomenti sensibili, che non hanno mai permesso la coagulazione di una vera industria europea della difesa. In un campo in cui mezzi e scopi si confondono spesso, il Muro dei Droni dipende da – e determinerà parzialmente – il grado di successo dei piani europei di ottenere una reale autonomia nel campo della difesa.
https://2eu.brussels/articol/analize/zidul-dronelor-de-la-sintagma-la-realitate